Mercoledi 12 dicembre 2018
Oggi abbiamo visitato la comunità di San Francisco, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. La comunità si trova nel municipio di Teopisca, in mezzo alle montagne e a 30 minuti di macchina dalla strada principale. E´costituita da circa 50 famiglie che dopo il ´94 hanno occupato le terre, che prima lavoravano in stato di semischiavitù per un grande proprietario. L´EZLN, con la sua prima dichiarazione durante l´insurrezione del 1 gennaio del 1994, fece appello a tutti gli indigeni senza terra a riappropriarsi dei territori che il sistema coloniale e capitalista gli aveva portato via, ma che lavoravano per i discendenti dei colonizzatori spagnoli o per i grandi proprietari terrieri. Così fecero i contadini indigeni della comunità di San Francisco che abbiamo visitato oggi: hanno invitato i "caporali" del padrone a unirsi alla lotta o ad andarsene e si sono riappropriati della loro terra. Nella cultura indigena la terra non dovrebbe avere padroni, non dovrebbe essere oggetto di compravendita: è la madre di tutti coloro che la vivono, la curano e la coltivano ed è inconcepibile che qualcuno se ne appropri godendo del frutto del lavoro altrui. I contadini di San Francisco hanno così cominciato a lavorare la terra in collettivo e gradualmente hanno abbandonato l'utilizzo degli agrochimici tornando a metodi di lavorazione più naturali e rispettosi della natura. Riconoscendo poi che la loro lotta era ispirata alle dichiarazioni dell´EZLN, hanno aderito alla Sexta Declaraciòn della Selva Lacandona. Alcuni anni fa la comunità aveva deciso di occupare una terra di 140 ettari abbandonata da molti anni dal suo propietario, il quale però ha prontamente mandato dei sicari che sono entrati in conflitto con i contadini generando situazioni di tensione. Queste modalità di azione sono frequenti, e la storia della comunità di San Francisco è esemplare anche per capire come il governo messicano cerca di far tacere le ribellioni dell´EZLN e di tutti coloro che non accettano di essere derubati e umiliati dalla logica capitalista. Il governo messicano ha dichiarato infatti ai ribelli una guerra di bassa intensità, fatta di favori a comunità indigene non organizzate, a patto di entrare in conflitto armato o in contesa di rivendicazione delle terre con le comunità zapatiste o con gli aderenti. In questo ultimo anno il conflitto con i contadini vicin a San Franciscoi si è peró placato, grazie alla mediazione di organismi non governativi come il Frayba e il Desmi; come detto spesso i conflitti per la terra nei territori indigeni sono alimentati dal governo o dai partiti ma, quando si riesce a escluderli, il dialogo tra indigeni e contadini diventa sempre possibile e si raggiungono accordi soddisfacenti per tutti. Abbiamo avuto un po' di difficoltà ad arrivare alla comunità, ma i cartelloni dei territori liberati per diritto legittimo ci hanno condotti fino a San Francisco. Il fatto che un nostro compagno, nella sua permanenza in Chiapas, avesse appoggiato direttamente la comunitá, ci ha permesso di essere accolti con molta naturalezza e affetto. Qui, come in tutto il Messico, sono giorni di festa per la Vergine di Guadalupe. Per le strade é pieno di camioncini di pellegrini che si danno il cambio per portare correndo una delle torce accese verso uno delle migliaia di santuari dedicati alla madonna. Al nostro arrivo era ancora in corso la funzione religiosa nella ermita (chiesetta) Anche ieri, come oggi, una cosa che ci ha colpito é il grande campo da basket. Ogni pueblo piccolo o grande che sia ne ha infatti uno. Spesso, ci raccontava il giorno pirma il compagno V., la promessa della costruzione del campo da basket da parte delle istituzioni crea un pretesto per una serie di aiuti governatvi che hanno l'obiettivo di distogliere le comunità dai principi della lotta per l'autonomia. Dopo i saluti di benvenuto ci hanno condotti nella ermita addobbata a festa e gremita soprattutto di donne, che ci hanno offerto, proprio davanti all’altare, tamales e atol (bevanda a base di mais, acqua, cannella e zucchero che è stata poi fatale per alcuni di noi); tra sguardi pieni di dignità e rispetto reciproco siamo rimasti seduti sulle panchine della chiesa per un prezioso e indefinito tempo chiacchierando un poco con loro. Sono stati silenzi pieni, e anche quando é arrivato il momento di presentarci e ascoltare la storia della loro lotta, le parole dei compagni con incarichi comunitari sono state pronunciate a voce bassa e lentamente, ma sono state sempre molto significative: “nuestra lucha sigue, aunque todavia no miramos donde vamos a llegar” (la nostra lotta continua, nonostante ancora non vediamo dove arriveremo) “la nuestra fuerza esta en el trabajo colectivo y en las asembleas” (la nostra forza è il lavoro collettivo e le assemblee). Donne e uomini infatti prendono decisioni collettive, coltivano le terre e, soprattutto le donne, hanno una grande conoscenza della medicina naturale con erbe curative, alternative al sistema farmaceutico capitalista. Non potevamo non parlare di cosa rappresenta per noi la data di oggi e, trovando anologie con il massacro di Tlatelolco del 2 di Ottobre 1968, segnato anch'esso dalla violenza di stato contro il popolo, abbiamo insieme a loro ricordato le vittime delle stragi dello stato italiano e l’anarchico Giuseppe Pinelli.
Giovedì 13 dicembre
Oggi siamo andati nella periferia di San Cristobal dove, aldilà di un lunghissimo muro di cinta colorato, ha sede un’università atipica: il CIDECI “Centro indigena de capacitaciòn Integral”, o Università della Terra. Il CIDECI non riceve alcun aiuto dallo Stato ed è un vero e proprio ponte con il mondo indigeno, in particolare quello che si ispira allo zapatismo, per la formazione professionale. E’ una scuola informale che assomiglia più alle università medioevali, quando queste erano un vero centro di cultura e ricerca invece che, come oggi, un luogo per produrre laureati, e dove i docenti vengono definiti semplicemente Maestri. Al portone siamo attesi: Santiago, un giovane maestro del CIDECI, ci accompagna nella visita e ci racconta come è nata e come è strutturata questa ‘università’. Il CIDECI è uno spazio non governativo nato nel 1989 per permettere a giovani indigeni del Chiapas, ma anche di altri paesi dell’America centrale, di avere una formazione. Inizialmente si trovava in città presso una casa intitolata a Don Bosco e di proprietà della diocesi di San Cristòbal, sotto il vescovo Samuel Ruiz. Nel maggio 2005 c’è stato il trasferimento in quella che è la sede attuale, dove nel tempo sono stati costruiti edifici colorati e curati nei minimi dettagli, con ambienti nei quali natura e piante sono elementi predominanti. Le istituzioni, a cui fa comodo avere indigeni non coscienti dei loro diritti e da sfruttare, hanno cercato in tutti i modi di ostacolare questa grande sfida e le modalità per generare paura e difficoltà sono state molteplici: nel 2006, ad esempio, hanno tagliato senza un motivo valido la fornitura di energia elettrica che è stata poi ripristinata attraverso un generatore che va a combustibile, e che ancora oggi fornisce l’elettricità all’intera struttura; nel 2013 ci sono state anche pressioni e minacce di funzionari governativi accompagnate dalle strutture repressive dell’esercito per esigere pagamenti non dovuti. Le difficoltà però, invece di indebolirla, hanno rafforzato la determinazione nel proseguire, ed è cresciuto sempre più l'interesse per il Cideci da parte delle comunità indigene aperte all’autonomia. Nella scuola possono accedere indigeni di ambo i sessi (le ragazze però sono meno dei ragazzi) a partire dai 12 anni, o prima, se accompagnati da fratelli maggiori. Non ci sono esami e non c’è un tempo stabilito per la permanenza, né limiti di età; per accedervi è sufficiente una lettera di presentazione della comunità di appartenenza. All'interno della struttura ci sono anche gli alloggi, ma accedono anche allievi che abitano in città o chiunque abbia voglia di apprendere. Quando ci si sente pronti si ritorna nella comunità di origine condividendo e mettendo in pratica le competenze acquisite. La conclusione del percorso è quindi soggettiva e non viene rilasciata alcuna certificazione ai giovani. Quello che importa è avere una competenza reale per lavorare nelle proprie comunità e non per delle imprese. La verifica di quello che qui chiameremmo successo formatito viene fatta dalla comunità, che verifica nella pratica se l’allievo ha davvero imparato. Ci sono diversi talleres, cioè laboratori formativi, ognuno in un ambiente dedicato diverso: carrozzeria, cucina, panetteria, calzoleria, laboratorio di tortillas, meccanografia, informatica, musica, lettura e scrittura, sartoria, pittura e decorazione, elettronica, serigrafia, falegnameria, disegno architettonico, meccanica, agroecologia, allevamento integrato, laboratori professionali di infermeria, elettricità, parrucchiere, fabbro, coltivazione funghi e spore ecc. Vengono proposti in una prima fase tutti i laboratori e successivamente si sceglie a seconda delle proprie attitudini. A percorso concluso il Cideci si impegna a fornire materiali e strumenti per seguire e avviare i progetti personali dei giovani studenti che condividono quanto appreso nei propri villaggi. Rimane comunque una relazione nel tempo con l' Università della Terra, che manda i propri maestri nelle comunità qualora ce ne sia bisogno e chiarisce dubbi e richieste di coloro che sono stati allievi. Molto spesso i maestri sono stati a loro volta allievi, come è stato anche per Santiago, che ha studiato qui per otto anni musica e adesso è un maestro. Nell’Università della Terra non ci sono bidelli, i maestri lavorano insieme agli allievi a produzione di oggetti, un po’ come avveniva nelle botteghe artigiane e d’arte del Medioevo e del Rinascimento. Nella vita quotidiana all’interno della struttura viene stimolato il senso di responsabilità e di rispetto e, a turno, ci si organizza per le pulizie, la gestione della cucina e le varie incombenze quotidiane. Vi sono numerosi spazi comuni quali l’auditorium, biblioteche, sale riunioni, molti luoghi di culto e campi da basket. Abbiamo fatto il giro nei vari talleres dove ragazzi erano intenti a cucire, lavorare il legno, suonare; la bellezza degli spazi è difficilmente descrivibile a parole. Tutti gli edifici sono stati costruiti senza bisogno di ricorrere a imprese specializzate o ingegneri o architetti del mercato capitalista: tutto è stato progettato e costruito con le risorse di quelli in basso. All’interno dell’Università della Terra la lingua utilizzata è lo spagnolo, ma negli incontri comuni ogni intervento viene tradotto nelle due lingue indigene del territorio: tzotzil e tzeltal. Il percorso educativo infatti procede in parallelo tra la parte pratica, operativa, e quella teorica proposta attraverso seminari, conferenze e presentazione di libri a cui partecipano moltissime persone, tra cui una buona parte sono gli allievi indigeni che vivono nel Cideci. L’Università della Terra è infatti anche un punto di incontro per attivisti locali e stranieri e vi sono alcuni appuntamenti fissi settimanali e mensili. Quella sera abbiamo avuto la fortuna di partecipare a un “Seminario de la Sexta”, appuntamento fisso del giovedì sera. Il ”seminario” è dedicato all’analisi e alla riflessione su articoli di stampa interna ed estera: nella settimana precedente a ogni incontro vengono scelti e selezionati degli articoli di attualità politica, di economia, ecologia...che all’inizio della serata vengono consegnati in copia ai partecipanti, ed in seguito riassunti e presentati ad allievi o attivisti. La particolarità di questi incontri è che gli articoli vengono riassunti sempre prima in lingua tzeltal, tzotzil e poi in spagnolo. Alla fine dell’esposizione i presenti possono intervenire con commenti o osservazioni e prendere spunto anche per proporre nuove questioni che si ritengono rilevanti, lasciando esprimere quello che suggerisce “el propio corazòn”. Il proprio cuore. In quel luogo quello che trasmette il cuore è infatti molto più importante di quello che suggerisce il cervello. Questi incontri rappresentano un grosso stimolo di riflessione e di condivisione e alimentano la motivazione nel proseguire in questo percorso individuale e collettivo; sono insomma un vero percorso formativo valido sia per i giovani che per gli adulti che lo frequentano.
Venerdì 14 dicembre
L`incontro con la Giunta del Buon Governo del caracol di Oventic ci viene fissata da G., compagno della Cooperativa Yachil che raccoglie il caffè dai produttori de Los Altos del Chiapas, da cui proviene il caffè che noi distribuiamo in Italia. Arrivati al cancello del caracol un compagno della Commissione Vigilanza ci riceve con il volto coperto dal paliacate, prende nota dei nostri nomi e ci dice che dobbiamo aspettare altre persone che parteciperanno all'incontro. Dopo un po' di attesa fuori dal caracol escono due basi di appooggio; si presentano: sono A., il presidente della cooperativa Yachil, e F., il segretario; ci avvisano che sia il tesoriere P. sia G., che si occupa invece della parte commerciale, non potranno esserci. Le attese sono una norma quando si parla con la Giunta perché i componenti sono sempre impegnati nella gestione delle problematiche che via via si presentano. I tempi delle popolazioni indigene del Chiapas, ma anche di tutto il Messico, sono diversi dai tempi europei e occorre accettarli se vogliamo liberarci dalla nostra visione eurocentrica dove gli standard e i criteri di buon funzionamento delle questioni sono l'efficienza e il decisionismo trascurando la condivisione. D'altra parte, fuori da caracol di Oventic, c'è un cartello con un disegno di una lumaca che dice: “Lento pero avanzo“. Il cartello ci suggerisce quindi la pazienza. Finalmente ci fanno entrare nel caracol, ci accompagnano fuori dalla Oficina de la Junta del Buon Gobierno - Corazón Céntrico de los Zapatistas delante del mundo – snail tzobombail yu’un lekil j’amteletik - tao’lol yo’on zapatista ta stukil sat yelob sjunul balumil (la prima scritta in lingua tzotzil e la seconda in tzeltal, le due lingue maya principali parlate nella zona de Los Altos del Chiapas). La Giunta che ci accoglie è composta da tre donne di età diversa con il viso coperto da un paliacate; non costituiscono l'intera Giunta perché, ci dicono, altri stanno affrontando altre incombenze. Ci presentiamo: E., Anita, A., M. e G. e i due compagni della Cooperativa Yachil, insieme alla Giunta, ci danno il benvenuto. Attenti ascoltano la lettura delle nostre lettere, indirizzate alla Giunta una e alla Cooperativa l'altra. In quella per la Giunta ripercorriamo brevemente la nostra storia, rinnoviamo la nostra vicinanza alla lotta zapatista, confermiamo la nostra presenza all’incontro di fine mese delle reti messicane e internazionali di resistenza e appoggio al CNI e ribadiamo l’importanza di vedersi. Ci teniamo in questa occasione a consegnare i 2000 euro (45000 pesos) raccolti in questi due anni grazie ai sostenitori del progetto caffè che appoggiano la lotta zapatista e ci rassicuriamo poi sullo stato delle ambulanze che Ya Basta! Milano aveva donato al caracol di Oventic per appoggiare la salute autonoma. Ci rispondono che una, quella dedicata alla comandante Ramona ha concluso il suo ciclo di vita e che invece l’ambulanza “Davide Dax” è ancora ben funzionante. La risposta sui problemi della rimanente ambulanza, quella dedicata a Carlo Giuliani, e se in qualche modo possiamo essere d'aiuto, ce la daranno in seguito per iscritto. Sul muro, dietro le spalle delle tre compa della Giunta, si trova una grossa bacheca con 12 bastoni neri: chiediamo loro cosa significhino. Ci rispondono che sono i bastoni di comando che rappresentano i 5 caracol e i sette municipi che compongono la regione autonoma del caracol II di Oventic. Ci ringraziano per la visita e dopo i saluti un compagno ci accompagna a vedere il caracol e fotografare i bellissimi murales. Chiediamo di poter passare dalla Clinica autonoma La Guadalupana, che si trova dentro il caracol, per chiedere una medicina per Anita che da un paio di giorni ha una persistente tosse secca. Anita viene visitata da una "promotora de salud" con il suo bambino di neanche un anno avvolto in un grande scialle assicurato alla sua schiena. La promotrice ausculta Anita con lo sfigmometro, le misura febbre, battiti del cuore e il livello di ossigenazione con l'apposito strumento, le controlla la gola e infine le prescrive una medicina naturale a base di eucalipto che compriamo al laboratorio di medicine naturali e che si trova dentro la clinica stessa. (Nota a posteriori: Anita nel giro di due giorni è guarita anche se: “l'eucalippo non mi piace!”) Con i componenti della cooperativa ci salutiamo con la promessa di un incontro a breve con tutti i componenti; il presidente è di una gentilezza rara e riporta al segretario quanto detto in tzotzil; abbiamo cosí l'impressione che il segretario parli solo tzotzil o comunque non domini lo spagnolo. Ci sono delle tiendas (negozietti) come quello “de las mujeres” con prezioso artigianato zapatista fatto a mano; ne prendiamo un po' per i nostri banchetti in Italia. Veniamo infine allietati da una delle migliori comidas di questo viaggio. Quello di oggi è stato un incontro che attendiamo da quando abbiamo deciso di fare questo viaggio e, come tutti i momenti che si attendono con ansia, è stato diverso da come lo immaginavamo. Si è respirata un'aria raccolta, impegnata e intensa, sempre fatta di poche parole ma di gesti lenti e quasi rituali che riempiono gli ambienti e la memoria. [CONTINUA...]
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